"Monologhi per chi ha smesso di fingere."
Qui si ascolta teatro nudo e crudo, senza scene, senza filtri, senza rete. Voci che bruciano, parole che sudano, storie che non cercano applausi ma presenza. Ogni episodio è un colpo basso, un abbraccio storto, un rifugio per chi sa che la verità, anche quando fa male, è l’unica cosa che ci salva. Se ti piacciono i monologhi comodi, resta pure dove sei. Se invece cerchi parole vive, ti aspettavo.
Testi di e con da Riccardo Maffioli

o su Prime Music
contrordine umano: io non sparo
Una stanza. Una voce. Una coscienza che non si arrende. Questo è un monologo civile, crudo e necessario, scritto per chi la guerra la sente sotto pelle anche se la guarda da un divano. Non c’è eroe. Non c’è morale. C’è solo un uomo, una donna, una persona qualunque che non ce la fa più a restare zitta mentre il mondo brucia e i governi ci dicono chi dobbiamo odiare. Questo non è teatro. È un atto di disobbedienza emotiva.
Luce sulle palpabre
Parigi, 1874. In uno studio fotografico affacciato sul boulevard des Capucines,
un manipolo di pittori ribelli espone per la prima volta opere che nessun occhio ha mai davvero visto. Sono schizzi? Visioni? Insulti alla pittura? Un altro pittore – anonimo, affascinato, smarrito – entra per curiosità e ne esce trasformato.
"Luce sulle palpebre" è il monologo di un testimone inconsapevole della nascita dell’Impressionismo. È uno sguardo carico di meraviglia, un inno al coraggio di vedere il mondo non com’è, ma come si muove. Un’ode teatrale alla prima scintilla dell’arte moderna.
Un momento in cui la pittura smette di rappresentare e inizia a respirare.
"weyouthey
quando finisce il tempo degli uomini”
“Quando finisce il tempo degli uomini” è un monologo filosofico e poetico che esplora la dissoluzione dell’identità collettiva. Il “noi”, il “voi”, il “essi” – pronome dopo pronome, si sbriciolano, lasciando dietro di sé un’umanità smarrita, frammentata, che non sa più riconoscersi. In scena, una voce solitaria scava nel vuoto che resta quando le relazioni si spezzano, le strutture si disgregano, e l’io si ritrova nudo, a fare i conti con la fine delle vicende umane. È la testimonianza di un’epoca al tramonto, o forse il seme di una parola nuova.